Diavolo e dio nell’esperienza psicoanalitica

Diavolo
Archetipo del diavolo

L’incontro con il diavolo

L’incontro con il diavolo durante l’esperienza psicoanalitica ma, anche di dio, del bianco e del nero, del bene e del male..

“Gli innocenti si sforzano sempre di escludere da sé e di spiegare nel mondo le possibilità del male. Questa è la ragione del male ed il suo segreto. La funzione del male è mantenere in movimento le dinamiche del mutamento, cooperando con le forze benefiche oppure in modo antagonistico, le forze del male contribuiscono alla stessa stesura dell’arazzo della vita. Perciò l’esperienza del male produce la maturità, la vita reale, il reale confronto dei poteri e dei compiti della vita, il frutto proibito, il frutto della colpa mediante l’esperienza e della conoscenza mediante l’esperienza, doveva essere inghiottito nel giardino dell’innocenza, prima che la storia umana potesse avere inizio. Il male non doveva essere evitato” Simmel G., L’Ade accettato.

L’analisi è certamente un luogo frequentato da il diavolo (dia-ballo). Infatti oggetto dell’analisi sono i conflitti che, nel trattamento analitico, vengono elaborati con l’intento di farli diventare coscienti piuttosto che risolverli, con l’intento cioè di trasformare una sofferenza che abbia significato per chi la vive. Ma dove vi è conflitto coesistono necessariamente due forze antagoniste. Se, come tradizione, consideriamo il diavolo il nemico per eccellenza, possiamo nominare il diavolo una di queste entità. Bene e male non sono qualità inerenti alla realtà, ma giudizi che ad essa sovrapponiamo, per cui il paziente decide che ci sia ingenuità nella sua unilateralità, che trova la sua premessa nello sviluppo della coscienza.
Il diavolo appare in analisi già nelle parole del paziente come nelle prime sedute e racconta al terapeuta non che sta accadendo questo o altro, ma racconta che gli capita…”mi capita di mettermi a piangere improvvisamente o mi capita di provare un terrore misterioso e invisibile o sul piano somatico…mi capita di sentirmi mancare, di non riuscire a dormire”…non “io voglio”, non “io faccio”, ma “mi capita”.
Quindi senza accorgersene il paziente chiaramente rende omaggio con queste paure a una potenza che evidentemente trascende le sue capacità di controllo e comprensione, una potenza che tiene il paziente tra le mani e gioca con lui crudelmente; allora egli concepisce tale potenza come “l’avversario” e in certi casi anche “il tentatore” il diavolo. Vengono registrati impulsi che spaventano e allora rivolgersi all’analista rappresenta l’estremo tentativo per debellare il nemico, per farlo tacere, per liberarsene. Il soggetto non pensa che quel nemico che si esprime tramite quei sintomi possa parlare una lingua comprensibile, perché il nemico è l’insensatezza assoluta o assoluta malvagità e che con esso non è possibile trattare, occorre quindi una forza esterna. Questo atteggiamento sembra echeggiare l’eterna incomprensione e il terrore nei confronti del male. Vincere il male: questa è l’idea. O almeno sottoporlo ad un procedimento di eufemizzazione, secondo la formula agostiniana del privatio boni (mancanza del bene). In modo alquanto incongruo, il paziente sperimenta la potenza terribile del male, però, al tempo stesso immagina che ci deve essere un modo di terapia. Il terapeuta è esperto dei disturbi psichici: tali parole esprimono abbastanza eloquentemente in quale universo ideologico proiettano il metodo psicanalitico nell’universo positivistico, ottimistico a cui appartengono anche le meraviglie della tecnica e il mito del progresso e la vergogna della morte. “Gli dei sono diventati malattie” come sostiene Jung, così qualche dio non riconosciuto fa ammalare. Così si vede come la nevrosi dipende da un gesto di viltà…
Se proviamo a trascrivere in termini mitologici la situazione, possiamo immaginare una condizione originaria, in cui bene e male coesistono in un ambito paradisiaco di incoscienza nella quale non esiste tensione tra opposti. La storia della civiltà ebraico-cristiana può essere vista come l’evolversi di una graduale differenziazione dell’aspetto positivo e della correlativa caratterizzazione del diavolo come antagonista. Il diavolo, originariamente contenuto nell’immagine di Dio, ha subito un processo di progressiva espulsione. L’emergere della coscienza, intesa come la rottura di questa originaria unità degli opposti, ha determinato una polarizzazione dell’esperienza in termini antitetici. La coscienza così trova più facile farsi catturare da un Dio o da chi per esso. Ora la finzione essenziale del diavolo è contemporaneamente la scissione dei disturbi psichici della nevrosi, in particolar modo, in cui assolutamente il diavolo si nasconde. La situazione paradossale in cui si trova il nevrotico sta nel fatto che egli è un uomo/donna civilizzato/a, ossia dotato di una coscienza differenziata, che però vuole sottrarsi al problema della scelta individuale, vuole cioè agire come se vivesse in un mondo che non si configura come un aggregato di opposti da comporre rischiosamente, momento per momento, ma risulta o vorrebbe che fosse unidimensionale, cioè retto da un solo principio, vorrebbe comportarsi come se si trovasse ancora nel paradiso terrestre, per fare la volontà di Dio, mentre la sua convinzione reale è quella di chi si trova in una situazione non paradisiaca, caratterizzata dalla coesistenza di opposti, ossia  Dio e il diavolo.
Il diavolo ha introdotto nel mondo la libertà di scelta, però il paziente vuole dimenticarselo, non vuole scegliere. Scopo dell’analisi è porre il paziente in grado di scegliere. Questo significa che analista e paziente cominciano a lavorare sulla base di un colossale equivoco. Il paziente vuole essere dualista attraverso l’eliminazione della contraddizione. L’analista vuole rendere il paziente persuaso e arrivare al punto di capire che la contraddizione è utile e rende creativi. Il paziente parte da un’idea di guarigione mutuata dalla medicina, l’analista crede che guarire significa tornare innocenti e sicuri di sé e del mondo. Il paziente, quando comincia a vedere il male dentro sé, vorrebbe essere assolto dal peccato. L’analista che non può assolvere nessuno, gli restituisce il peso non eliminabile, ma in cui forse è nascosta una pietra preziosa che si può infinitamente elaborare…
L’analista, come il confessore, ascolta, ma il confessore resta sempre e soltanto dalla parte di Dio, e può permettersi di perdonare e chiede come contropartita il ritorno alla fedeltà, la sua apparente generosità e gli effetti di assicurazione che l’assoluzione induce sono, in realtà, il mondo attraverso cui il peccatore viene ricondotto nell’universo unidimensionale da cui il peccato era stato tentato di uscire. La posizione dell’analista è questa: il paziente lo vorrebbe confessore ed esorcista, ma egli sa che hanno ragione sia Dio che il diavolo e che in questo paradosso è racchiusa la fastidiosa e piena verità. Compito dell’analista non è ridurre la tensione del paziente, ma consiste nel legittimarla.
Il paziente non vuole ammettere che il diavolo esiste, che sottrae il soggetto alla mera osservanza della legge e lo restituisce, attraverso un conflitto etico, alla responsabilità delle proprie scelte e dunque esso rende possibile all’uomo di conquistare un’identità che sta infatti nel riscatto dalla norma che ci rende uniformi. La scomodità sta in noi esseri umani nel nostro rifiutarci alla complessità, non nella complessità propria della vita.
L’analisi richiede un atteggiamento posto agli antipodi dell’iconoclastia, proprio perché agisce sulle immagini e non sui concetti. L’analisi si basa sui simboli deducibili anche dai sogni (sum-ballo, mettere insieme, accostare i significati dei simboli) e dalle parti diaboliche che il paziente vive nella nevrosi: il diavolo (dia-ballo) che appunto tende a disgiungere gli opposti, i contrari, accentuando il senso di colpa e ostacolando il processo del dipanare, dello sciogliere (analisi) del conflitto.
Dunque l’analisi deve giungere ad una risoluzione del conflitto ad una soluzione un dissolvimento degli ostacoli intrapsichici.

di: Laura Tussi

  • Commento del Dott.  Zambello

          Scrive Jung in “Ricordi, sogni, riflessioni”:  ”Una volta mentre ero nel mio laboratorio e riflettevo questi problemi il diavolo mi suggerì che sarei stato giustificato se avessi pubblicato i risultati dei miei esperimenti senza citare Freud”. Jung Credeva veramente nell’esistenza del diavolo, lo aveva veramente incontrato. Jung ha fama di essere stato un  ”religioso” e spiritualista. In realtà era un empirico e psichiatra, come lui si definiva.  Conosceva,  per averlo “visto” e “conosciuto”,  il Diavolo: é dentro tutti noi come lo è Dio. Lui pensava  che noi conviviamo con tante  parti opposte: il femminile e il maschile, l’introverso e l’estroverso, il bianco ed il nero,  oscurità e luce, lo yin e yang,  fino al diavolo e dio. Il nostro equilibrio è un continuo  colloquiare con tutte queste parti  senza  farne prevalerne alcuna.

Video del Dott. Zambello: la psicoterapia Junghiana

http://www.youtube.com/watch?v=fXlhyX6T-IU

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4 commenti

  1. L’articolo, estremamente importante, mi ha permesso di chiarire alcuni aspetti riguardanti la difficoltà del paziente a riconoscere la propria nevrosi.
    Grazie

  2. DEMONOS
    FEDE E SAGGEZZA

    La parola “DEMONOS” leggendola al contrario:
    “So nome Diavolo”.
    La parola “DEMONOS” leggendola al contrario:
    “Sono me Diavolo”.

    *Coperto di Copyright da Dorotea Assenova Trifonova*

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