La settimana scorsa mentre aspettavo un paziente e riempivo il tempo scrivendo un articoletto che volevo pubblicare sul mio blog, mi ero bloccato su un concetto che mi sembrava interessante e che avevo rimuginato per tanto tempo ma non riuscivo ad esprimerlo come avrei voluto . L’avevo già scritto e riscritto ma mi sembrava sempre dovessi scriverlo meglio. In quel momento il paziente suonò al citofono, aprii il cancello e andai alla porta per riceverlo. Rientrato in studio con lui, tornai alla scrivania dove c’era ancora la pagina dell’articolo aperta sul computer che lasciai acceso.
Mi concentrai sul paziente appena arrivato. Erano due settimane che non ci vedevamo, aveva avuto un problema di salute. Lui mi guardò e iniziò a parlare. Impressionante, sembrava stesse eggendo sul mio computer, ripeteva quasi nelle virgole quello che avevo appena scritto. Potevo seguire sul mio computer quello che lui stava dicendo. Lo lasciai parlare finché non si interruppe da solo. La sua chiacchierata era fluida ma non consequenziale, seguiva più le emozioni interne che la logica. Sembrava in uno stato di dormiveglia dove i pensieri fluttuano tra il razionale e l’onirico.
Quando fece silenzio gli dissi: “Grazie, fa piacere anche a me rivederla”
Lui sorrise, ci capimmo. Poi, fu invaso da una forte emozione e per difesa si scosse, recuperò la sua parte razionale e cominciò a giustificarsi sul perché la volta prima non era venuto in seduta.
Che cosa era successo? Diverse cose, vediamo di analizzarne alcune.
La prima su un piano transferale e relazionale. E’ come se il paziente avesse iniziato la seduta dicendomi che mi aveva pensato, mi aveva portato dentro di sé. Il suo era stato un regalo, una dichiarazione alla quale avevo risposto: grazie.
Da un punto di vista dinamico , quando il paziente riconosce nell’analista un “padre” che lui può portare dentro di sé, è una importante tappa evolutiva. Ora qui, ci importa poco sapere se per quel paziente era una significativa conquista o una momentanea regressione, ciò che ci interessa é: come è stato possibile tutto ciò?
Inconscio collettivo e sincronicità nella psicologia analitica
Chi conosce un po’ della psicologia analitica di Jung può facilmente catalogare l’evento come un evento sincronico. Su tali eventi Jung scriveva: “ Ecco quindi che il concetto generale di sincronicità nel senso speciale di coincidenza temporale di due o più eventi senza nesso di causalità tra di loro e con la stesso o simile significato. Il termine si oppone al ‘sincronismo’, che denota la semplice simultaneità di due eventi. La sincronicità significa quindi prima della simultaneità di un certo stato psichico con uno o più eventi collaterali significanti in relazione allo stato personale del momento, e – eventualmente – viceversa.” Jung 1950.
Sincronicità e l’esistenza dell’ inconscio collettivo sono due dei pilastri su cui si struttura l’analisi Junghiana. Per inciso, non credo siano i più significativi della teoria junghiana ma i più alternativi secondo il pensiero comune, sicuramente si. Ma ritornando alla sincronicità e all’ inconscio collettivo Jung non è mai riuscito a trovare un nesso logico tra queste due fenomeni che lui conosceva empiricamente.
Tra le numerosissime definizioni che aveva dato dell’ inconscio collettivo, ne diede una come spiegazione di un suo sogno dove esplorava i sotterranei della propria casa fino a trovare resti di civiltà romane. Poi, nel sogno, scendeva ancora più giù fino a raggiungere una caverna primitiva dove trova reperti e teschi umani. Jung scriveva: “Col pianterreno cominciava l’inconscio vero e proprio. Quanto più scendevo in basso, tanto più diveniva estraneo e oscuro. Nella caverna avevo scoperto i resti di una primitiva civiltà, cioè il mondo dell’uomo primitivo in me stesso, un mondo che solo a stento può essere illuminato dalla coscienza…. Il mio sogno pertanto rappresentava una specie di diagramma di struttura della psiche umana…. il sogno divenne per me un’immagine guida.. fu la mia prima intuizione dell’esistenza, nella psiche personale, di un “a priori” collettivo..” (Ricordi, sogni, riflessioni. Rizzoli pag. 187-188)
Jung scrisse questo negli anni ’60 con la sua collaboratrice Aniela Jaffé ma sul tema dell’ inconscio collettivo e gli archetipi aveva già pubblicato molto, tra l’altro: “ …. al mondo effimero della nostra coscienza essi (gli archetipi) comunicano una vita psichica sconosciuta, appartenente ad un lontano passato; comunicano lo spirito dei nostri ignoti antenati, il loro modo di pensare e di sentire, il loro modo di sperimentare la vita e il mondo, gli uomini e gli dei. L’esistenza di questi stati arcaici costituisce presumibilmente la fonte della credenza nella reincarnazione e nella credenza di ‘vite anteriori’”. (Opere di Carl Gustav Jung Editore: Bollati Boringhieri, 1939, p. 278)
Sappiamo che Jung aveva teorizzato “leggendo” ciò che vedeva e gli accadeva, tenendo sempre quell’atteggiamento teorico e operativo che lui chiamava empirismo. Sull’esistenza dell’ inconscio collettivo e dei fenomeni sincronici non aveva dubbi ma non li mise mai in relazione l’uno all’altro. Scriveva infatti a proposito della sincronicità: “Voglio dire per sincronicità le coincidenze, che non sono infrequenti, di stati soggettivi e fatti oggettivi che non si possono spiegare causalmente, almeno con le nostre risorse attuali.” (Le radici della coscienza C. G. Jung 1954)
Inconscio collettivo e l’esperienza quotidiana
Oggi , da tempo siamo a conoscenza di un fenomeno chiamato in inglese “the multiple effect”.
“Gli effetti multipli” altro non sono che la constatazione oggettiva che in un dato momento storico più persone isolate geograficamente e che non interagiscono tra loro, scoprono le stesse cose nuove nello stesso momento. E’ stato calcolato che dal 1922 ci sono state ben 148 scoperte scientifiche fondamentali per la scienza avvenute simultaneamente, spesso senza che gli scienziati sapessero che la loro stesse idea era portata avanti da qualcun altro in un’altra parte del mondo. Ecco alcuni casi tra i più noti: la “teoria dell’ evoluzione” (Darwin e Wallace), il “ metodo di calcolo” (Newton e Leibniz), le “macchie solari” ( 4 persone nel 1611) e tante, tante altre.
Evidentemente se è vero che il nostro agire o ancor più il nostro essere ha effetti su ogni cosa, sembra altrettanto vero che la nostra connessione con altri esseri vada ben oltre la semplice influenza causale. E’ come se i nostri pensieri creassero un progetto di informazioni, un “plasma” che si deposita nell’inconscio. nell’ inconscio collettivo. E’ lì, nell’ inconscio collettivo, spazio non più personale ma raggiungibile da tutti che altre persone che si pongono le stesse tematiche, possono trovare risposte condivise.
E’ lì che il mio paziente è andato a pescare i miei piccoli pensierini per poi condividerli con me.
Stiamo parlando di pensieri come “increspature energetiche” come li definisce Lucia Berdini, Ella dice “(i pensieri)… sono onde di informazioni. Si spiega così il perché le persone che provano a risolvere indovinelli, test e anche cruciverba hanno sempre risultati migliori dopo che i problemi sono stati risolti da altre persone prima di loro. Questo perché i pensieri delle persone che ci hanno lavorato prima di te hanno messo in circolazione le risposte nella banca dati di informazioni nel campo di consapevolezza che tutti condividiamo”.
Quando Jung teorizzava sull’ inconscio collettivo non conosceva ancora quello che poi sarebbe diventato per noi il suo equivalente tecnologico: il web, la rete. La rete, internet, è la rappresentazione tecnologica dell’ inconscio collettivo. La rete non è l’ inconscio collettivo ma la sua rappresentazione tecnologica, è un surrogato. Da un punto di vista simbolico, la rete sta all’ inconscio collettivo come il biberon sta al seno della madre. Ma ciò spiegherebbe perché si parla e si constata proprio fenomeni di dipendenza da internet. E’ una dipendenza che ha tutte le caratteristiche delle dipendenze: coercizione e continuo bisogno di reiterazione e insoddisfazione con conseguente isolamento dal mondo reale, crisi di astinenza.
La verità è che chi si ciba di internet, cerca di cibarsi dell’energia che viene dall’ inconscio collettivo e invece trova surrogati, a volte alterati.
L’ inconscio collettivo è uno spazio nobile, alto, dove vivono “le idee” e gli dei e i demoni. A quel mondo ci si avvicina con cuore puro, senza artifici tecnologici. Senza calzari, come Mosè sul Sinai. E’ il mondo della preghiera, della meditazione, delle emozioni vere, dell’amore. E’ il mondo dell’esserci.